Errore nell’indirizzo della visita fiscale: Inps condannato a risarcire lavoratrice
Una grave svista nell’indirizzo di residenza riportato nel certificato medico ha portato al rifiuto dell’Inps di riconoscere l’indennità di malattia a una lavoratrice, con conseguente decurtazione delle somme dallo stipendio. La vicenda, che ha visto coinvolto un medico fiscale incaricato di effettuare la visita di controllo, si è conclusa con una sentenza della Corte d’Appello di Palermo che ha condannato l’istituto previdenziale per aver illegittimamente negato il diritto alla prestazione.
Nel 2021, la lavoratrice aveva richiesto alcuni giorni di malattia, corredati da certificato inviato telematicamente dal suo medico curante. Tuttavia, nel documento era stato commesso un errore nell’indirizzo di casa: il numero civico era stato invertito, segnalando 2035 anziché 2305. Di conseguenza, il medico fiscale inviato dall’Inps si è recato al civico sbagliato di una via di Palermo, non trovando la donna in casa. L’istituto previdenziale ha pertanto negato l’indennità di malattia, motivando la decisione con l’assenza della lavoratrice al luogo di reperibilità indicato.
Nonostante ciò, l’Inps ha poi inviato la comunicazione del diniego proprio all’indirizzo corretto, dimostrando di conoscere la residenza effettiva della lavoratrice. In seguito a questa discrepanza, la donna si è rivolta prima al Comitato provinciale del Lavoro, che le ha dato torto, e successivamente ha impugnato il provvedimento davanti al tribunale, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado.
La sezione Lavoro della Corte d’Appello ha confermato quanto stabilito dal tribunale, accogliendo le tesi difensive degli avvocati Maria Clara Grassa e Alberto Romano. Secondo i giudici, l’Inps avrebbe dovuto effettuare tutte le verifiche necessarie per accertare la presenza della lavoratrice nel domicilio reale, anche utilizzando i dati anagrafici già in suo possesso. Il semplice errore nell’inversione delle cifre del civico non poteva giustificare il rifiuto dell’indennità, poiché l’istituto aveva dimostrato di conoscere l’indirizzo esatto, come attestato dall’invio delle successive comunicazioni.
Durante il processo è stato chiarito che il medico curante aveva compilato il certificato con il numero civico errato, lasciando inoltre vuoto lo spazio per indicare un eventuale luogo di reperibilità differente dalla residenza. Ciò ha generato un equivoco che, a parere dei giudici, non poteva gravare sulla lavoratrice. L’Inps avrebbe potuto facilmente recuperare il domicilio corretto della donna dai propri archivi, perfezionando così la visita fiscale e garantendo il diritto alla malattia.
La sentenza rappresenta un richiamo importante per l’istituto previdenziale e per gli operatori coinvolti nelle visite fiscali: l’accuratezza dei dati è fondamentale per tutelare i diritti dei lavoratori e per evitare ingiuste decurtazioni salariali. Il caso di Palermo sottolinea come un errore amministrativo, se non opportunamente verificato, possa generare danni economici significativi e ingiustificati ai cittadini.
Oltre a ribadire l’obbligo dell’Inps di utilizzare tutte le informazioni in suo possesso per evitare errori, la pronuncia evidenzia anche l’importanza di un sistema di comunicazione efficiente e trasparente. La corretta gestione delle informazioni relative alle visite fiscali e alla reperibilità è essenziale per garantire il rispetto delle normative e la tutela dei lavoratori malati.
L’istituto, infatti, non può limitarsi a fare affidamento esclusivamente sui dati forniti dal certificato medico, soprattutto quando vi siano evidenti incongruenze. Il dovere di verifica assume invece un ruolo cruciale, soprattutto in un contesto in cui la digitalizzazione delle procedure consente un accesso rapido e puntuale ai dati anagrafici e di residenza.