"Indiziato" di essere l'Amministratore Unico: arrestato!
Prima di raccontare questa storia sarebbe forse opportuno che precisassi (e lo consiglio a tutti) che non sono e non sono mai stato amministratore unico o plurimo, delegato o delegabile, presidente o gonfaloniere di alcuna società. A scanso di possibili e, soprattutto di impossibili e tuttavia verificabili equivoci in sede giudiziaria.
E’ successo a Cosenza, Città di belle tradizioni culturali, patria di giuristi autentici, che sta raggiungendo un livello ragguardevole nella graduatoria delle sede giudiziarie in cui la fantasia e le distrazioni hanno il miglior successo.
Un ex Consigliere Regionale di Forza Italia, non so bene se “in corsa” per le non lontane nuove elezioni, Domenico Barile, è stato arrestato e ammesso al “beneficio”, come con scarso senso dell’umorismo si suol dire nell’ambiente, degli arresti domiciliari con la non lieve imputazione di bancarotta fraudolenta in quanto Amministratore Unico di una società, la TINCSON, con sede a Barcellona. Agli arresti domiciliari ed alla gogna pubblica, naturalmente, che la posizione sociale e politica di un arrestato, se può rappresentare un motivo di distorta soddisfazione per qualche distorto personaggio, comporta tale pena aggiuntiva anticipata ed irrevocabile per il “paziente” (che avrebbe tutte le buone ragioni per dare concreto sfogo alla propria “impazienza” di certe porcherie).
Senonché l’Amministratore Unico, arrestato e cautelarmente seppure domiciliarmente ristretto per il “pericolo di reiterazione del reato” (in sé un po’ difficile per la bancarotta fraudolenta) non era più tale né unico e nemmeno “plurimo”, non avendo più alcun rapporto con la società TINCSON fin dal 2012 (i fatti contestati erano consumati “fino” al 2014).
Ma, evidentemente, nessuno si era preoccupato di documentarsi sulla rappresentanza, sui partecipi e gestori della società. Del resto si trattava di una “semplice misura cautelare”, (ancorché un po’ incauta) e secondo certi magistrati in materia “melius est abundare”, non nella cautela per non commettere baggianate e strizzare la gente, ma contro il rischio sociale, nel caso, quello della “reiterazione” e, magari, anche di fuga “del reo”. A costo di essere incauti. La “pignoleria” di andare a badare alle risultanze dei registri della Camera di Commercio non si addice allo spirito della “giustizia di lotta” contro il crimine etc. etc.
Quel che non avevano fatto né i P.M. (sono due: la dott. Donato e la dott. Manzini) né il G.I.P., dott. Santese, lo ha dovuto fare, con l’affanno di dover soccorrere un Cliente detenuto seppure a domicilio, il Difensore, correndo in Spagna (o forse, dovremmo dire in Catalogna) procurandosi la documentazione dell’inconsistenza dell’indizio che i magistrati incautamente avevano preso per buono, si direbbe, per sentito dire.
Depositando la documentazione che non lui, ma l’Accusa avrebbe dovuto acquisire agli atti prima di far arrestare il malcapitato Barile, il suo Difensore chiedeva la revoca del provvedimento cautelare così palesemente incauto. Ma, uomo d’esperienza, non mancava di formulare una buona (si fa per dire) subordinata: ché, almeno i magistrati si compiacessero di “attenuare” la loro incauta cautela, che so, magari con una misura interdittiva, che peraltro non indicava, rimettendosi all’esperienza di P.M. e G.I.P. in materia. Divieto, magari, di diventare quello che non era, cioè “Amministratore”.
Prudente “gradualità”, dimostratasi non necessaria, ché P.M. e G.I.P. convennero che l’incauta misura cautelare degli arresti domiciliari fosse, notate bene, non da revocare, ma da “far cessare”, essendo venuto meno (venuto meno? Sì, nientemeno dal 2012) un “dato essenziale ai fini della (impossibile) reiterazione del reato”. In verità, direi però, ai fini della stessa possibilità che il reato fosse da lui commesso. E già, perché la cautela non usata nell’irrogare la misura (cautelare) degli arresti domiciliari è stata usata nel farli cessare. Una cautela dimostrata in una lunga e contorta motivazione, che si direbbe ispirata piuttosto alla difesa dello stesso G.I.P. e dei P.M. contro possibili pretese di risarcimento piuttosto che all’esigenza di ristabilire un diritto incautamente leso.
Tiene infatti l’ordinanza a precisare anzitutto che “non viene in discussione il quadro indiziario” (cioè, si direbbe se manca la prova, resta l’indizio che Barile potesse essere Amministratore Unico!!!) “tenuto conto che il Barile si era avvalso della facoltà di non rispondere” (nel cosiddetto interrogatorio “di garanzia”!?!). Insomma poco ci è mancato che non si dicesse: “se l’è voluta lui”.
Già. Ma questo Barile deve essere una persona dotata di acume e saggezza, che ha mostrato di saper usare la cautela da altri ignorata. Io, al suo posto, anche accusato di aver pugnalato Giulio Cesare, avrei fatto lo stesso. Di fronte a certe accuse parlare è pericoloso. Dici “non sono stato io” e ti definiscono un “callido e cinico insensibile di fronte alle proprie responsabilità”. Ma è meglio non parlare di responsabilità. L’inchiesta continua.
Mauro Mellini
20.10.2017